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Edipo a Colono, la tragedia sulla morte

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La tragedia sofoclea sarà in scena al teatro greco di Siracusa nella stagione 2018.

 

Sofocle è assai vecchio quando scrive la  tragedia Edipo a Colono, che sarà rappresentata postuma dal nipote Sofocle il giovane. Il tema della morte in quel momento della sua esistenza è reale, non solo letterario e il sobborgo di Atene, la candida Colono, dove Sofocle nacque, diventa il luogo della morte misteriosa di Edipo, l’uomo per antonomasia, che il tragediografo vegliardo riprende dopo parecchi anni dalle vicende raccontate nell’ Edipo re.

Edipo, sfinito, vecchio e cieco, accompagnato dalla figlia Antigone, giunge al bosco sacro delle Eumenidi a Colono. E’ un oracolo che  ha predetto a Edipo il luogo e le modalità della sua fine terrena. Nonostante il parere avverso dei cittadini, il re Teseo concede ospitalità all’esule. L’arrivo dell’altra figlia Ismene porta novità drammatiche sui figli maschi, Eteocle e Polinice, che combattono per il potere su Tebe; secondo l’oracolo, avrà la meglio chi di loro due otterrà l’appoggio paterno. Giunge Creonte, il cognato di Edipo, per convincerlo a ritornare nella sua città; al rifiuto deciso del cieco, cattura le sue figlie, che sono liberate grazie all’intervento di Teseo. Polinice, il figlio maggiore di Edipo che è stato scacciato da suo fratello da Tebe, giunge per chiedere al padre il suo sostegno. Edipo lo maledice, accusandolo di non averlo aiutato e sorretto nel momento del bisogno. Polinice va via ed Edipo, intuendo il momento della sua fine, segnalato da folgori e tuoni, si avvia nel luogo in cui avviene la morte, a cui solo Teseo, dopo aver ricevuto i segreti di lunga vita per Atene, assiste.

L’Edipo di questa tragedia è il pallido riflesso dell’ uomo determinato, che è diventato re di Tebe, marito e padre grazie alle sue capacità. Ora è giunto al termine dei suoi giorni, ha bisogno dell’aiuto di sua figlia per vivere e dell’ospitalità di una città ancora sconosciuta. È però deciso a rompere tutti i suoi legami con la sua città e i suoi abitanti, perfino con i suoi figli, responsabili del mancato accudimento di un padre vecchio e malato. Vive un tempo estraneo  alla corsa affannosa verso il potere, che invece caratterizza Creonte e Polinice; la sua è una dimensione protesa verso l’interiorità, la profondità religiosa e la tensione verso la morte con il suo mistero impenetrabile.

<<O tu, Edipo, perché indugiamo ad andare?Già da tempo tu ritardi>>

Sofocle si prepara a morire attraverso Edipo, familiarizza con la necessità della morte ( compiendo i riti di purificazione e sciogliendosi le vesti), eleva un’elegia struggente e accorata alla morte, e assistiamo noi tutti non solo in differita alla conclusione della vita del protagonista, ma anche a quella del suo autore. C’è un’altra elegia nella tragedia, è contenuta nel primo stasimo, quando il Coro canta la meravigliosa lode alla terra di Colono, dove è nato e ha trascorso l’infanzia Sofocle.

A questa contrada dai bei cavalli, ospite,

giungesti, la migliore dimora della terra,

la candida Colono,

dove soave canta il suo lamento

dalle verdi forre

l’usignolo senza posa,

vivendo tra l’edera cupa

e l’inaccessibile selva

del dio dai frutti innumerevoli,

riparata dal sole e dal vento

di ogni tempesta, che in eterno

Dioniso nelle sue orge percorre

insieme con le sue divine nutrici.

C’è un usignolo a sorvegliare il bosco sacro alle Eumenidi, lo ha sentito e visto Antigone nel prologo, chiamata dal padre a descrivere il luogo in cui sono giunti; anche il Coro ne evidenzia il dolce lamento. L’usignolo è legato al regno dell’Oltretomba dal mito di Filomela e Procne, le due sorelle trasformate in rondine e usignolo; nel coro due fiori, legati alla dea Persefone, sono presenti, il narciso e il croco. Il bosco sacro è allusione al regno dell’Ade, come acutamente individua Fabrizio Coscia nel suo ultimo libro “La bellezza che resta”.

L’unico a contenere in sé il mistero della sparizione di Edipo è il re Teseo, che non può rivelarlo, ha ricevuto il contraccambio dei favori offerti al vecchio straniero e se ne va, rispettando i giuramenti fatti.

Il terzo stasimo sembra scritto dal poeta del pessimismo, Giacomo Leopardi:

Non essere nati è condizione

che tutte supera; ma poi, una volta apparsi,

tornare al più presto colà donde si venne,

è certo il secondo bene.

Sofocle conclude la sua avventura terrena e artistica con la tragedia più alta dal punto di vista religioso di tutta la letteratura greca. Un vero e proprio  canto al mistero della morte.

 

 Marisa Madonini - 31/10/2017 00:13:00 [ leggi altri commenti di Marisa Madonini » ]

Sofocle docet: suoi echi ravviso in ’king Lear’, padre che soffre simili pene nell’imminenza della fine. E cosa dire poi del penoso monologo di Macbeth, dopo la morte della moglie, in quel suo pronunciamento cupo sulla vita e la sua fine, il suo senso? Riflessioni esistenziali che accadono sulla scena, prosecuzioni e estensioni del teatro classico, nel caso della tragedia dove, nel tentativo di esorcizzare il dolore, la profondità dei pensieri ci accomuna e ci fa più cauti, riflessivi, meditativi chiamando a coscienza la qualità dell’attenzione. Anche nel teatro moderno, pur nella stringatezza dello script e nella variata tecnica di recitazione, ci sono riferimenti agli antichi miti e motivi.

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